La salute e la longevità umana sono il risultato di un complesso intreccio di fattori genetici, ambientali, comportamentali e sociali. Molto spesso si ignorano alcuni degli aspetti che influenzano il risultato, e se ne enfatizzano (anche in buona fede) altri. Il rischio è quello di cadere nella “retorica del guerriero”, che espone a più rischi di quanti non ne risolva.
Analizzando studi epidemiologici, dati demografici e ricerche genetiche, è possibile ricavare un modello che evidenzia l’impatto percentuale di ciascun elemento citato. Sebbene la quantificazione esatta abbia margini di variabilità, è possibile fare una stima basata sulle evidenze più recenti.
La genetica, lo stile di vita, l’ambiente, l’accesso alle cure mediche e i determinanti sociali giocano tutti un ruolo cruciale, e questo fa subito comprendere che alcuni fattori sono modificabili, in tutto o in parte, mentre su altri non è possibile intervenire. Proprio per questo assegnare un peso eccessivo alle responsabilità individuali, espone a cascata a ulteriori rischi piuttosto che indurre ad un cambio delle abitudini.
Se si esaminano le revisioni sistematiche della letteratura, che includono studi longitudinali e dati demografici globali, utilizzando un modello di analisi di regressione multipla per attribuire una percentuale di impatto sulla longevità e sulla salute per ciascun fattore, controllando interazioni e confondenti, emergono i seguenti risultati:
I fattori genetici contribuiscono per circa il 20-30% alla variazione della longevità tra gli individui; gli stili di vita e i comportamenti, inclusi dieta, esercizio fisico, fumo e consumo di alcol, rappresentano circa il 40%. L’ambiente, compresa l’esposizione a inquinanti, condizioni di lavoro e livello di urbanizzazione, contribuisce per il 10-20%. Ma anche l’accesso alle cure mediche e la qualità delle stesse iterferiscono, e lo fanno per circa il 10%. Infine i determinanti sociali, come il livello di istruzione, lo status socioeconomico e le reti di supporto sociale, rappresentano un ulteriore 20-30%.
E’ dunque vero che, sebbene la genetica stabilisca una base per la longevità, gli stili di vita e i comportamenti hanno il più grande impatto. Tuttavia questo non deve divenire un ulteriore carico (anche emotivo) agente sul singolo. Poiché la nascita di una vera e propria industria della salute che partorisce l’ideologia del benessere al punto da farne scaturire quasi un obbligo morale, un precetto, determina una serie di conseguenze che possono sfociare, nei soggetti maggiormente predisposti, una serie di problematiche di tipo ossessivo compulsivo, che certo non impattano positivamente.
Si rischia di traslare sui soggetti “in salute” la pessima retorica del guerriero, che viene utilizzata sui malati (di solito oncologici) che, non bastasse la patologia organica, vengono investiti di una responsabilità nella risposta, che certo non dipende da loro.
Pertanto, anche i professionisti del settore, dovrebbero certamente conoscere e promuovere il potenziale del loro intervento, ma senza dimenticarne i limiti.
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Bibliografia parziale:
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